La trappola




Una piccola formica è attirata dai colori della livrea di una Sarracenia e dal profumo del nettare che la pianta produce per attirare le sue prede.
L'istinto la porta subito verso quell'irresistibile fonte di cibo, quindi risalendo lungo l'ascidio, la formica giunge ben presto all'imboccatura della trappola.
In quel punto, il profumo di nettare è così forte che la formica rimane come stordita, tanto da muovendosi goffamente come ubriaca lungo la superficie del peristoma, una zona che grazie alla sua viscidità, rende ancora più instabile l'equilibrio della formica che inevitabilmente finisce per scivolare all'interno dell'ascidio, cadendo sul fondo.
Peli presenti sull'opercolo
e all'interno dell'ascidio.
Dopo qualche minuto, la formica si riprende e l'istinto la porta questa volta a risalire lungo la parete interna dell'ascidio, per abbandonare da quel luogo angusto e sconosciuto.
Purtroppo per la formica, quello che sembra essere una semplice "risalita", si rivela ben presto un arduo compito.
Le pareti interne dell'ascidio, sono infatti ricoperte da scaglie cerose che rendono alquanto scivolosa la risalita e per complicare maggiormente la situazione, la formica trova sulla sua strada una serie di peli irti e rivolti verso il basso.
Una mosca si ciba del nettare
Il movimento delle zampe che grattano la parete nel tentativo di trovare un giusto appiglio, sollecitano alcune ghiandole presenti tra le scaglie cerose, che iniziano a secernere un liquido carico di enzimi digestivi ed altamente vischioso che rende ancor più difficoltosa la risalita.
Si tratta di una sostanza talmente potente da sciogliere una mosca in pochi giorni, o addirittura un moscerino in poche ore.
Dopo innumerevoli tentativi di risalire la parete dell'ascidio, la formica ormai stremata, cade nuovamente sul fondo dell'ascidio dove questa volta però, ristagna il liquido digestivo prodotto dalla pianta.
A nulla serve divincolarsi con le ultime forze che le rimangono, quel liquido presente sul fondo della trappola, ha una densità decisamente inferiore rispetto a quella che possiede l'acqua, e quindi, la povera formica è costretta a capitolare annegando nel liquido.
Gli enzimi attaccano il corpo della formica, e dopo un lento processo digestivo, la pianta può così assorbire tutti quegli elementi nutritivi, azoto compreso, derivati dalla scomposizione del corpo della preda.
La Sarracenia, oltre a catturare insetti terrestri non sdegna neppure le prede alate.
Applicazione del
teorema di Bernoulli
Una mosca ad esempio, attirata dai colori e dalle fragranze prodotte dalla pianta, plana sul peristoma e come nel caso della formica finisce col cadere sul fondo dell'ascio.
In questo caso però ci sembra chiaro che la mosca ha qualche chances in più rispetto alla povera formica.
Sarebbe infatti per lei sufficiente alzarsi in volo verso la libertà, senza neppure sfiorare le pareti interne dell'ascidio... ma per sua sfortuna non è così e questo grazie alla particolare forma dell'ascidio. .
Ascido sezionato con insetti digeriti al suo interno

Taglio di un ascidio
Sembra quasi che milioni di anni fa, la Sarracenia abbia in qualche modo intuito quello che l'uomo ha in realtà scoperto solo nel 18° secolo.
Verso la metà del 1700, il fisico svizzero Bernoulli formulò infatti il suo famoso teorema dove si enuncia che in un condotto tubulare in cui circola del fluido, si viene a formare una pressione che è tanto maggiore, quanto più ampia è la sezione del condotto stesso.
Tornando alla mosca prigioniera, quando questa sbatte le ali per prendere il volo, crea un flusso d'aria che risale dell'ascidio (il condotto a forma di cono rovesciato) e quindi per il teorema di Bernoulli si viene a generare una pressione che risulta molto più importante nella zona dell'uscita dell'ascidio (sezione più larga) rispetto a quella che si viene a creare nella parte bassa dell'ascidio (sezione più stretta).
La forte pressione che persiste al di sopra della mosca non fa altro che "schiacciare" l'insetto verso il fondo, evitando che questo possa in qualche modo "decollare".
Ben presto la mosca si rende conto che la via di fuga a lei più consona le è stata negata, ma a differenza della formica "estrae dalla manica" una soluzione alternativa: risalire l'ascidio arrampicandosi lungo la parete interna.
Una soluzione che si rivelerà ben presto una disfatta, perchè come nel caso della formica, quella intrapresa è in realtà la strada verso la morte.
La Sarracenia è quindi in grado di catturare sia le prede terrestri, sia quelle alate è questo grazie proprio alla particolare struttura morfologica della sua trappola a forma di cono rovesciato: l'ascidio.
S. minor
Opercolo con zone trasparenti
A differenza di tutte le altre specie appartenenti alla famiglia di questa pianta carnivora, la Sarracenia flava oltre a secernere sostanze mielose è in grado di produrre una tossina paralizzante chiamata "coniina", un alcaloide velenoso presente nella Cicuta, la famosa pianta utilizzata per uccidere Socrate.
Biologicamente parlando, la coniina si presenta come una neurotossina in grado di agire a livello delle sinapsi neuromuscolare, una sostanza in grado quindi di determinare la paralisi muscolare e nel caso specifico della Sarracenia, quella collegata all'apparato respiratorio della preda catturata.
La Sarracenia minor e la Sarracenia psittacina pur utilizzando la stessa tecnica di cattura delle altre Sarracenie hanno
Alcune prede tentano la fuga
Cattura di una preda
optato per una soluzione diversa per quanto riguarda la forma dell'opercolo, una sorta di cappuccio che chiude parzialmente l'apertura dell'ascidio.
La superficie dell'opercolo è caratterizzata da zone prive di clorofilla e che quindi appaiono trasparenti e permettono alla luce di illuminare l'interno dell'opercolo stesso.
Una volta entrate da una piccola fessura posta nella parte inferiore dell'opercolo, la preda che tenta di tornare sui suoi passi rimane disorientata dinnanzi a quelle che sembrano vie di fuga ma che in realtà sono come appena spiegato, tessuti trasparenti dell'opercolo, Stremate per la lunga ricerca di una vera via di fuga, le prede finiscono per cadere all'interno del tubo digestivo.

Nel video che segue, sulla sinistra le immagini della preda vista dall'esterno, mentre sulla destra le immagini della probabile visuale di una preda all'interno di una trappola, immagini realizzate con una micro telecamera.



Ad integrazione di quanto detto in precedenza, non tutte le Sarracenie, sono in grado di digerire in maniera del tutto autonoma le prede catturate.
La Sarracenia purpurea (compreso tutti gli ibridi derivati), non è in grado di produrre gli enzimi digestivi e quindi è impossibilitata nel digerire in maniera autonoma le prede come riescono a fare le altre Sarracenie.
Per questa specifica specie, la decomposizione delle prede è affidata così ai micro-organismi presenti nell'acqua.
Nel caso in cui coltivassimo questa specie di Sarracenia, è praticamente d'obbligo tenere i suoi ascidi costantemente ricolmi di acqua.
Nell'immagine e nel filmato che segue, una preda è stata catturata da una Sarracenia. Purpurea, se non vi fosse l'acqua la cattura della preda sarebbe stata del tutto inutile alla pianta.
I micro-organismi presenti nell'acqua che ristagna all'interno dell'ascidio, inizieranno a scomporre la preda in sostanze primarie, sostanze che pianta riuscirà così ad assimilare e a sfruttare pienamente per la sua crescita.