Proboscidea
Anatomia del fiore






Il genere Proboscidea fiorisce in maniera abbondante producendo infiorescenze in racemi.
I fiori presentano una forma tubolare con un diametro che varia da 2 a 3 centimetri e sono composti da quattro lobi arrotondati.
Il fiore ricorda vagamente quello dell'orchidea ed assume una colorazione biancastra con macchie color magenta, mentre la gola appare macchiata di un rosa-porpora.
Il profumo che proviene dalla corolla è molto intenso e non sempre gradito poichè in certe occasioni ricorda vagamente quello dell'incenso, una fragranza che persiste per ore anche dopo la caduta della corolla.
Le parti anatomiche del fiore sono ben riconoscibili, gli stami che producono il polline si presentano come piccoli cespugli di color crema posti nella parte alta del fiore stesso, appena sotto al petalo superiore.



Lo stigma, l'organo sessuale femminile, assume la forma di una piccola proboscide e risiede nella parte superiore del fiore sotto agli stami; è formato da due lobi lamellari che si divaricano nella parte finale esterna, proprio come una sorta di cerniera.



La caratteristica che rende affascinante questo fiore è proprio lo stigma i cui lobi risultano sensibili al tatto.
Quando un insetto impollinatore, attirato dal fiore viene a contatto con lo stigma, questo si chiude a scatto sigillando tra i due lobi il polline trasportato dall'insetto.
Il movimento avviene in 2 o 3 secondi, un tempo relativamente sufficiente affinchè l'insetto possa riprendere il volo senza subire danni fisici.
Lo stigma è in grado di percepire se al termine della chiusura, al suo interno è presente del polline.
In caso affermativo, i lobi rimangono sigillati garantendo così al polline di fecondare il fiore, in caso contrario si riapre predisponendosi a ricevere la visita di altri insetti impollinatori.
Nel filmato che segue è possibile vedere la chiusura dello stigma, la registrazione non è perfetta, ma purtroppo le minuscole dimensioni dell'organo femminile, rendono complicata la ripresa.
In ogni caso il filmato va interpretato non tanto per la qualità delle immagini ma per l'affascinante movimento di chiusura dello stigma.